1990 Immigrazione – Il meccanismo delle espulsioni

Il meccanismo delle espulsioni

30.11.1990

Ho partecipato con piacere alla serata organizzata per la lotta contro il cancro e mi sono meravigliato di quanta gente partecipi ad una catena della solidarietà a favore di persone colpite da una malattia. Mi ha fatto molto piacere anche la dichiarazione del dotto Giorgio Noseda, che alla domanda se non toccasse allo Stato fornire i soldi per la ricerca, ha risposto affermativamente ma ha anche detto che pur se ci fossero questi soldi, la colletta dovrebbe essere fatta ugualmente essendo un momento sociale di solidarietà fra la popolazione, pur recependo questa riflessione, mi sono chiesto quanta solidarietà vera e completa ci sia tra la gente e i malati di cancro o se invece i soldi versati non siano anche un investimento assicurativo (psicosi svizzera del superassicurato) sulla propria salute essendo il cancro una malattia che può colpire chiunque.
C’è un po’ di pessimismo o cinismo in questa mia riflessione ma tutto questo forse mi deriva da tante altre dimostrazioni di mancanza di solidarietà (ad esempio tossicodipendenti, emarginati, lotte a favore dei bassi salari, anziani, rifugiati).
Una decina di giorni fa sono stato contattato da alcuni amici che volevano sottopormi un problema umano di solidarietà. Una famiglia turca, residente in Ticino da tre anni, avendo ricevuto un mandato di espulsione, doveva lasciare la Svizzera entro cinque giorni. La situazione era resa più grave dal fatto che la signora era incinta al quinto mese e che era stata ricoverata alcuni giorni prima per una minaccia di aborto.
Cosa si poteva fare per bloccare l’espulsione? Con gli amici del Centro accoglienza profughi di Chiasso abbiamo inoltrato una richiesta di sospensione sia a Berna che a Bellinzona per motivi medici. Nell’attesa di una risposta, pur avendo già una dichiarazione a favore della signora da parte di un medico generico, abbiamo fatto fare alla futura mamma un’ulteriore visita medica da un ginecologo di fiducia, il quale ha dichiarato che la signora e il nascituro erano in quel momento in perfette condizioni di salute.
Era finita, non risultando grave, veniva a cadere tutta la possibile solidarietà: per i responsabili dell’espulsione, il peso psicologico di questa misura poliziesca, con il forzato ritorno in un Paese dal quale si è fuggiti per non morire o per non far la fame, non aveva nessun valore.
lo, che pensavo di chiedere la solidarietà di chi predica sempre il sì alla vita o alle persone che giustamente vogliono l’ufficio per la condizione della donna, ora mi sentivo dire, da chi ha più esperienza in lotte di solidarietà (gli esperti del centro accoglienza profughi, che passano la loro vita in una realtà che la maggior parte degli svizzeri ignora o vuole ignorare, vedendo casi sociali ogni giorno ed avendo contro buona parte della popolazione) che non c’era più possibilità di ricerca d’aiuto per questa signora. La macchina per l’espulsione, era già stato dimostrato in altre occasioni, non si arresta davanti a niente. La mia rabbia e la mia delusione, anche perché sapevo di altri casi analoghi con bambini piccoli, si sono dovute arrendere davanti al pragmatismo della realtà.

In questa società di M… (che non sta solo per Materialismo); l’immagine di questa mamma che non perdeva sangue e non era in fin di vita, non era abbastanza pagante per una campagna pubblicitaria di solidarietà. Chissà se i ticinesi emigrati nel mondo (per Natale tutti ne parleranno con collegamenti internazionali e si parla già adesso di trovare famiglie che per la ricorrenza del700.mo della Confederazione siano disponibili ad ospitarne qualcuno) sono stati divisi in rifugiati politici e rifugiati economici dagli stati che li accoglievano? Per fortuna non sono stati scacciati da quei paesi, altrimenti sarebbero tornati a far la fame in Ticino.

Ora, della famiglia turca non si sa più niente. Se ne sono andati da soli e non si sa dove. Speriamo di non dover leggere sulla cronaca di una donna incinta ritrovata su un qualche passo di montagna. Anche se questo potrebbe dare lo spunto per un altro film commovente per farci versare qualche lacrima di compassione per Natale.

Bill Arigoni

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