2001 DEMETRA – La chiusura del centro Demetra è stato lo spunto per un’interrogazione

Pubblicato su SOLIDARIETA anno 2 No. 4 – 22.02.2001

La chiusura del centro Demetra è stato lo spunto per un’interrogazione che al di là del caso concreto segnalato, ha posto più in generale il problema della politica e delle strutture di intervento e sostegno nei casi di abusi nei confronti dei bambini. Ne abbiamo parlato con Bill Arigoni, autore dell’interrogazione parlamentare.

L’aiuto ai bambini che subiscono abusi sessuali è un problema serio e sempre più esteso. La questione del centro Demetra e della sua chiusura hanno semplicemente messo a nudo la questione. A tutt’oggi non è chiaro per quale ragione sia stato chiuso. Se vi erano problemi di personale o di direzione, bisognava risolverli senza guardare in faccia a nessuno (se vi sono funzionari o dirigenti inetti, devono essere rimossi). A me pare invece che fosse proprio il concetto rappresentato da questo centro a dare fastidio. Si trattava infatti di un centro-pilota (tra l’altro finanziato dalla stessa Confederazione) che si ispirava all’idea di un sostegno e presa a carico globale del bambino che aveva subito abusi sessuali; centro in grado di svolgere anche la valutazione dei genitori cercando di recuperarli al loro ruolo. In questo senso si trattava del superamento del concetto tradizionale di sostegno, così come pensato dai normali servizi. Inoltre il fatto di convivere con altri bambini, che erano passati dalla stessa gravissima e traumatizzante esperienza, era un elemento terapeutico e di “socializzazione” importante e decisivo.
Questo concetto di ” recupero” è decisivo se si vuole poi, in un secondo tempo, poter reinserire chi ha subito un abuso in famiglia. Questo evidentemente è possibile solo dopo aver “recuperato” la famiglia, o almeno il genitore non abusante, poiché, in concomitanza con una situazione di abuso, si sono creati rapporti di dominazione del tutto particolari (molto spesso le madri sono esse stesse “vittime” di queste situazioni).

Questa mancanza di chiarezza sulla dinamica che ha portato alla chiusura del centro viene illustrata, nella tua interrogazione, unitamente a tutta un’altra serie di meccanismi che rendono “opaco” e poco “trasparente” tutto quanto succede in questo ambito.

La mia interrogazione non è qualcosa nato così da un momento all’altro. E’ il risultato di indicazioni, suggestioni, “sollecitazioni” che mi sono venute da più ambienti. Molte persone mi hanno “sussurrato” questi problemi: da genitori coinvolti in prima persona, da operatori del settore (insegnanti, educatori, ecc.). Evidentemente, per questa sorta di omertà, di “mafia soft” che esiste in Ticino, nessuno ha il coraggio di mettere fuori la faccia. L’esempio che ho fatto nella mia interrogazione è evidentemente un caso che può sembrare estremo; ma purtroppo è solo la punta di un iceberg. Spesso non si possono fare nomi ed esempi perché vi sono in ballo dei bambini. Ma questa realtà è veramente estesa, indipendentemente dal fatto che i casi non vengano alla luce.

Con la chiusura del Centro Demetra di fatto è venuta meno una struttura che si occupava di questi problemi. Il problema che ci si può porre è con quali strumenti e strutture lo Stato fa fronte a questo fenomeno.

Il meccanismo fondamentale in questo ambito è che le strutture “ufficiali” (penso in particolare alle commissioni tutorie comunali – in funzione prima delle attuali commissioni regionali-) sono assai difficili da muovere. In un cantone come il Ticino, con i legami personali e di interesse che vi sono, prima di avviare un’inchiesta è necessario che la situazione sia ormai ad uno stadio avanzato: direi che persino i muri devono accorgersene! Diciotto commissioni tutorie nel nostro cantone sono troppe perché non abbiamo persone sufficientemente competenti per farne parte in modo che possano seguire con cognizione di causa i casi. Inoltre l’iter da seguire è spesso farraginoso e tale da scontrarsi con molte resistenze (!). Certi casi, a dipendenza del “peso” della famiglia coinvolta, possono durare mesi ed anni prima di un intervento. Alla fine, di fronte ad un caso riconosciuto come grave, il minore può essere prelevato dalla famiglia e portato al Centro PAO di Mendrisio.
Il fatto che questi meccanismi non funzionino è comprovato anche da quanto ha affermato candidamente la magistrata dei minorenni, secondo la quale fortunatamente non sono stati segnalati nuovi casi gravi (non vedo il problema = il problema non c’è). Il che è, francamente, incredibile. Se estrapoliamo le cifre di studi nazionali possiamo calcolare che grosso modo le vittime di abusi potrebbero essere almeno1’200 in Ticino. Ma pur ammettendo percentuali diverse è chiaro che in nessun caso la situazione che emerge, e che sembra dirci che il fenomeno non esiste, corrisponda alla realtà.
Qui il problema va invertito. La mancanza di strutture, di una politica attiva di monitoraggio, di reali possibilità di segnalazione, porta alla mancanza di “sensori” sociali che permettono di identificare le situazioni e di farle emergere. E’ questo il primo e fondamentale problema con il quale siamo confrontati rispetto a questo fenomeno. La direttrice del DOS, vista anche la sua precedente esperienza di magistrato dei minorenni, dovrebbe essere allarmata di fronte ad un quadro così “tranquillizzante”. Va anche aggiunto il fatto che il PAO, unica struttura pubblica di accoglienza, appare sempre più inadeguata. Lo dice lo stesso responsabile del centro.
Credo che alla base vi sia un altro problema: questa sorta di “garanzia” a tutti i costi del nucleo famigliare, per cui il bambino è lasciato in famiglia anche nella fase di “chiarimento” della situazione è una forzatura. Meglio allontanare il bambino subito e lavorare sulla ricostruzione del rapporto famigliare prima che la situazione degeneri anche per il genitore non abusante.

Cosa ti attendi dalla risposta ai problemi che hai posto nella tua interrogazione ?

Credo che sia necessario che arrivino risposte su due piani. Da un lato sul caso concreto che ho segnalato (e che è stato utilizzato di fatto per chiudere il centro Demetra). Credo che vi siano state omissioni e complicità, a vari livelli, che devono emergere.
In secondo luogo mi attendo che il governo dica come intende avanzare su questo terreno, con quali strumenti, con quali mezzi.
Devo tuttavia dire che sono scettico sull’esito di questa mia interrogazione. Certo riceverò risposte apparentemente convincenti e tranquillizzanti. Ma il problema è che chi risponde per finire sono gli stessi chiamati in causa.
Credo che il governo dimostrerebbe un grande senso del dibattito democratico ed una reale volontà di trasparenze e chiarezza se rispondesse dopo aver fatto eseguire un’inchiesta dettagliata a qualcuno che non abbia legami con il Ticino, né con i servizi e le persone coinvolte nella vicenda, né con l’amministrazione.

Autore intervista: sconosciuto

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